giovedì 12 gennaio 2012

Fiaba: "Pelle di foca pelle d'anima"



Da " Donne che corrono con i lupi"di Pinkola Estés


In questa terra dove i venti soffiano tanto forte che tutti devono indossare giacche a vento, stivaletti e berretti, viveva un uomo così solo che negli anni le lacrime avevano scavato abissi sulle sue guance. Desiderava tanto una compagnia. Una notte raggiunse un grande scoglio in mezzo al mare e vide delle donne nude, bellissime, che danzavano. Erano le donne-foche, le selkies, che toltesi le loro pelli si erano trasformate in meravigliose creature. L’uomo saltò sullo scoglio e rubò una delle pelli di foca lasciate dalle selkies. Finita la danza tutte ripresero le loro pelli eccetto una. L’uomo si fece coraggio e chiese alla donna: “Vuoi sposarmi?”. E la donna rispose: “No, io appartengo a coloro che vivono nel mare”. L’uomo insistette: “Sii mia moglie, tra sette estati ti restituirò la tua pelle”. E la selkie accettò. Ebbero un bambino e la madre raccontò al bambino le storie delle creature che vivevano nel mare. Con il passare del tempo la pelle della donna cominciò a seccarsi, le caddero i capelli, le sue rotondità presero ad avvizzire, perse la vista. Una notte il bambino fu svegliato dalle urla di sua madre che chiedeva al marito di restituirle la sua pelle perché i sette anni erano trascorsi. Ma il marito non voleva perché non sopportava di essere abbandonato e non voleva che il loro bambino restasse senza madre. Il bambino amava molto sua madre e temeva di perderla e pianse fino a crollare nel sonno, poi si svegliò, corse alla scogliera, inciampò in una pietra e sotto trovò la pelle di foca. Egli corse verso sua madre e le restituì la sua pelle. La donna lo accarezzò e accarezzò la pelle, grata perché entrambi erano salvi. Ella voleva restare col suo bambino ma qualcosa la chiamava. Si volse verso di lui con sguardo di grande amore. Soffiò il suo respiro nei polmoni del bambino tenendolo sotto il suo braccio, come un oggetto prezioso. Si tuffò in mare, sempre più in fondo, fino a raggiungere la grande foca argentea, la quale come vide il bambino lo chiamò “nipote”. Passarono sette giorni, e gli occhi e i capelli della donna ritrovarono l’antica lucentezza, ritrovò la vista, il suo corpo ritrovò la sua rotondità. E venne il tempo di restituire il bambino alla terra. Quella notte la vecchia nonna foca e la bella madre del bambino nuotarono tenendolo in mezzo a loro, risalirono le acque e lo poggiarono delicatamente sulla riva. La madre lo rassicurò: “Sarò sempre con te”. Passò il tempo e il figlio della selkie divenne un grande suonatore di tamburi, cantore e artefice di storie e si disse che tutto ciò accadde perché da piccolo era sopravvissuto sott’acqua ed era stato riportato dalle profondità del mare dalle foche. Ora, nelle grigie mattine lo si vede con il suo kayak ancorato a parlare con una certa foca. Molti hanno cercato di catturarla ma nessuno c’è mai riuscito. E’ nota come TANQIGCAP, la brillante, la sacra, e si dice che sebbene sia una foca, i suoi occhi siano capaci di sguardi umani, saggi, selvaggi e amorosi.

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