Da “Nostra signora delle rondini” di
M.Yourcenar
C’era una volta un monaco di nome
Terapione, era rude e sospettoso, ovunque vedeva la zampa del diavolo. Era
stato capace di evangelizzare le mummie dell’Egitto e persino gli imperatori
bizantini. Adesso era il turno della Grecia, infestata dai seguaci di Pan, il
dio dei boschi e delle ninfe e di tutte le creature naturali, doveva farla
cambiare a tutti i costi!
Non sopportava di vedere come gli
alberi fossero ritenuti sacri, detestava le divinità d’argilla inserite in ogni
incavo.
Con tutto il suo zelo provava la sua
dura opera di conversione. Si era costruito una capanna con materiali benedetti
ed era riuscito a condividere il cibo ed anche l’immagine di Gesù con i
contadini, ma , nonostante le carestie e le guerre che stavano subendo,
continuavano ad onorare alberi e dei e dee di tutti i tipi. Ogni sera posavano
sotto il platano consacrato alle Ninfe una scodella di latte della unica capra
superstite; i giovani s'insinuavano a mezzogiorno sotto i boschetti per spiare
quelle donne dagli occhi verdi che si nutrono di timo e di miele.
Quasi ogni giorno qualche mandria
stregata si perdeva nella montagna, e, correva voce, che qualche mese più tardi
non se ne trovasse che un mucchietto di ossa. Erano accusate anche di prendere
per mano i bambini e di portarli a ballare sull'orlo dei precipizi.
Il monaco Terapione era proprio
adirato con quelle giovani, i contadini, invece, nonostante le voci e i
disastri che sembrava combinassero, continuavano ad amare quelle fresche fate
seminvisibili, e le perdonavano per i loro misfatti.
Il monaco le temeva come un branco di
lupe e quelle rispondevono facendogli tremendi dispetti. Non gli davano pace, la
notte ne sentiva sul viso l'alito caldo, di giorno, se si addormentava, gli
tiravano la barba.
Non cercavano di sedurlo, perché lo
trovavano bruttissimo, buffo e ultra vecchio, così serio nei suoi spessi abiti
di saio scuro. D’altro canto, malgrado la loro bellezza e la loro nudità, non
risvegliavano in lui alcun desiderio impuro.
Lo inducevano tuttavia in tentazione,
perché finiva per dubitare della saggezza di Dio che ha modellato tante
creature inutili e dannose, come le ninfe.
Un mattino gli abitanti del villaggio
trovarono il loro monaco tutto intento a segare il platano delle Ninfe, e
doppiamente se ne addolorarono. Da un lato infatti temevano la vendetta delle
fate, che se ne sarebbero andate portandosi via le sorgenti, e dall'altro quel platano
dava ombra allo spiazzo dove usavano riunirsi per danzare.
Ma non rimproverarono il santo uomo
per timore di guastarsi la relazione con il Padre che è nei cieli, dispensatore
di pioggia e di sole.
Se ne stettero zitti, e i progetti del
monaco Terapione contro le Ninfe furono incoraggiati da quel silenzio.
Spesso la sera, di nascosto, quando
non vedeva ombra di contadino nella campagna deserta, dava fuoco a un vecchio
ulivo il cui tronco avesse l'aria di
nascondere qualche dea, o a un giovane pino la cui resina versasse un pianto
d'oro. Una forma nuda si svincolava allora dal fogliame e correva a raggiungere
le compagne, immobili in lontananza come cerbiatte spaventate, e il santo
monaco si rallegrava di aver distrutto uno dei covi del Male. Piantava croci
ovunque, e le giovani fuggivano lasciando intorno al villaggio santificato una
zona sempre più vasta di silenzio e di solitudine.
Ma la lotta proseguiva oltre, anche sulle
insidiose montagne.
Alla fine, circondate dalla preghiera
e dal fuoco, ridotte all' osso per l'assenza di offerte, prive d'amore da
quando i giovani del villaggio avevano preso a evitarle, le Ninfe cercarono
rifugio in una valle deserta dove certi pini tutti neri, piantati nel suolo
argilloso, facevano pensare a grandi uccelli intenti a uncinare nei loro forti
artigli la terra rossa e a volteggiare in cielo con le mille punte sottili
delle loro piume d'aquila. Le sorgenti che sgorgavano laggiù sotto cumuli
informi di pietre erano troppo fredde per attirare le lavandaie e i pastori.
Sul fianco della collina, a mezza altezza, si apriva una grotta, e non vi si
poteva entrare che attraverso uno squarcio largo appena quanto basta al
passaggio di un corpo. Sempre le Ninfe vi si erano rifugiate nelle sere in cui
il temporale disturbava i loro giochi, perché temevano il tuono, come tutte le
bestie dei boschi, e ci dormivano anche nelle notti senza luna.
Certi giovani le avevano scovate e non
la finivano più di parlare di quei corpi dolci semivisibili nella frescura
delle tenebre, e di quelle chiome più intuite che palpate.
Per il monaco Terapione, quella grotta
dissimulata nel fianco della roccia era come un cancro radicato nel suo stesso
petto, e in piedi all'ingresso della valle, con le braccia levate, pregava che
il cielo l'aiutasse a distruggere quei pericolosi resti della razza degli dèi.
Poco dopo la Pasqua, il monaco riunì
una sera i più fedeli e i più rozzi fra i suoi seguaci; li armò di zappe e di
lanterne; si munì di un crocefisso e li guidò attraverso il dedalo delle
colline, impaziente di mettere a profitto quella notte nera.
Il monaco Terapione si fermò sulla
soglia della grotta e, temendo che
subissero qualche tentazione, non permise ad alcun discepolo di penetrarvi.
Si sentivano gorgogliare le sorgenti.
Palpitava un debole rumore, dolce come la brezza nelle pinete; era il respiro
delle Ninfe addormentate, che sognavano la giovinezza del mondo, il tempo in
cui non esisteva ancora l'uomo, e dove la terra dava vita solo agli alberi,
alle bestie e agli dèi.
I contadini accesero un grande fuoco,
ma si dovette rinunziare a bruciare le rocce; il monaco ordinò a tutti di
impastare gesso, di trasportare pietre. Alle prime luci dell'alba essi avevano
cominciato la costruzione di una piccola cappella appoggiata al fianco della
collina, davanti all'imbocco della grotta maledetta. I muri non erano secchi,
il tetto non era stato ancora appoggiato, la porta mancava, ma il monaco
Terapione sapeva che le Ninfe non avrebbero tentato di scappare attraverso quel
luogo da lui già consacrato e benedetto.
Per maggior sicurezza, al fondo della
cappella, proprio dove si apriva la bocca della roccia, aveva piantato un
grande Cristo dipinto su una croce, e le Ninfe, che capiscono soltanto i
sorrisi, indietreggiavano inorridite davanti a quell'immagine del Suppliziato.
I primi raggi del sole si allungavano
timidamente fino alla soglia della caverna: era l'ora in cui le infelici
usavano uscire, per cogliere sulle foglie degli alberi vicini il loro primo
pasto di rugiada; le prigioniere singhiozzavano, supplicavano il monaco di
venir loro in soccorso e nella loro innocenza gli promettevano di amarlo, se
avesse acconsentito ad autorizzarle a fuggire. I lavori proseguirono per
l'intera giornata e , fino a sera, si videro lacrime cader dalla pietra, si
sentirono colpi di tosse e grida rauche simili a lamenti di bestie ferite.
Il giorno dopo si posò il tetto e lo
si ornò con un ciuffo di fiori; si sistemò la porta e si fece girare nella
serratura una grossa chiave di ferro.
Quella notte i contadini stanchi ridiscesero
al villaggio, ma il monaco Terapione si coricò accanto alla cappella da lui
costruita, e tutta la notte i lamenti delle sue prigioniere gli impedirono
deliziosamente di dormire.
Eppure era un uomo compassionevole: si
inteneriva difatti su un verme che avesse schiacciato con un piede, ma adesso
godeva del suo lavoro.
Il giorno dopo i contadini
intonacarono l'interno e l'esterno della. cappella, che a questo punto prese
l'aspetto di una bianca colomba rannicchiata sul seno della roccia. Due uomini
del villaggio, meno paurosi degli altri, si avventurarono nella grotta per
imbiancarne le pareti umide e porose, perché l'acqua delle sorgenti e il miele
delle api cessassero di trasudare all'interno dell'antro e di sostenere la vita
declinante delle donne-fata. Le Ninfe indebolite non avevano più la forza
necessaria per manifestarsi agli umani.
Il loro corpo disfatto si decomponeva
in vapore, o era sul punto di sbriciolarsi come le ali di una farfalla morta;
non smettevano di gemere, ma per cogliere quei deboli lamenti bisognava proprio
tendere l'orecchio; non erano già più, ormai, che anime di Ninfe in pianto.
Per tutta la notte seguente il
monaco Terapione continuò a montare la sua guardia di preghiere sulla soglia
della cappella, come un anacoreta nel deserto. Si rallegrava pensando che prima
o poi i lamenti sarebbero cessati, e che le Ninfe morte di fame non sarebbero
più state che una memoria. Pregava per affrettare il momento in cui la morte
avrebbe liberato le sue prigioniere, perché suo malgrado cominciava a
compiangerle.
Al declinare di quel giorno egli vide
sul sentiero una donna che gli veniva incontro. Camminava con la testa bassa,
un po' curva; aveva un mantello e una sciarpa neri, ma una luce misteriosa
trapelava da quella stoffa scura, come se lei avesse buttato la notte sul
mattino. Benché fosse giovanissima aveva la gravità, la lentezza e la dignità
di una donna molto vecchia, e la sua soavità era simile a quella del grappolo
maturo e del fiore imbalsamato. Passando davanti alla cappella ella guardò con
attenzione il monaco, che ne fu disturbato nelle sue orazioni.
- Questo sentiero non porta da nessuna parte,
donna - le disse. - Di dove vieni? –
Da Est, come il mattino - disse la
giovane - E tu che cosa fai qui, vecchio monaco? -- Ho murato in questa grotta
le Ninfe che infestavano ancora la contrada, disse il monaco, e contro
l'apertura dell'antro ho costruito una cappella che loro non osano attraversare
per fuggire perché sono nude, e a loro modo temono Dio. Aspetto che muoiano di
fame e di freddo nella loro caverna, e allora la pace di Dio regnerà sui campi –
- Chi ti dice che la pace di Dio non si stenda
alle Ninfe come ai cerbiatti e ai greggi delle capre?- rispose la giovane.
- Non sai che al tempo della creazione
Dio dimenticò di dare le ali a certi angeli, che caddero sulla terra e presero
dimora nei boschi, dove formarono la razza delle Ninfe e dei Pan?
E altri si fissarono su una montagna,
dove divennero dèi dell'Olimpo. Non esaltare, come i pagani, la creatura a
svantaggio del Creatore, ma non scandalizzarti nemmeno per la Sua opera. E nel
tuo cuore ringrazia Dio perché ha creato Diana e Apollo –
- La mia mente non sa innalzarsi tanto
- disse umilmente il vecchio monaco. - Le Ninfe turbano i miei fedeli e mettono
in pericolo la loro salvezza di cui io sono responsabile davanti a Dio, e per
questo io le perseguiterò, se è necessario, fino all'Inferno.
- E si terrà conto del tuo zelo,
onesto monaco - disse sorridendo la giovane - Ma non vedi proprio un mezzo per
conciliare la vita delle Ninfe e la salvezza dei tuoi fedeli?
La sua voce era dolce come la musica di un
flauto.
Inquieto, il monaco abbassò la testa. La
giovane donna gli posò la mano sulla spalla e gli disse con gravità:
- Monaco, lasciami entrare in questa
grotta. Io amo le grotte, e sento compassione per chi vi cerca rifugio.
È in una grotta che io ho messo al
mondo il mio bambino, ed è in una grotta che l'ho affidato senza timore alla
morte, perché subisse la seconda nascita della Resurrezione.
L’anacoreta si fece da parte per
lasciarla passare.
Senza esitare ella si diresse verso
l’entrata della caverna, nascosta dietro l’altare. La grande croce ne sbarrava
la soglia, ella la scostò delicatamente come un oggetto familiare, e s’insinuò
nell’antro. Si sentivano nelle tenebre dei gemiti più acuti, dei pigolii e come
un frusciare di ali.
La giovane parlava alle Ninfe in una lingua
sconosciuta che era forse quella degli uccelli e degli angeli. Dopo un po'
riapparve accanto al monaco, che non aveva smesso di pregare.
- Guarda, monaco, disse, e ascolta.
Innumerevoli gridolini stridenti le
uscivano di sotto il mantello. Ne scostò i lembi, e il monaco Terapione vide
che nelle pieghe del suo abito ella portava centinaia di giovani rondini. Come
una donna in preghiera spalancò le braccia, dando così libertà agli uccelli.
Poi, con voce chiara come il suono di un'arpa, ella disse:
- Andate, mie creature.
Le rondini liberate filarono via nel cielo
della sera, descrivendo indecifrabili segni con il becco e con l'ala. Il
vecchio e la giovane donna le seguirono per un po' con lo sguardo, poi la
pellegrina disse al solitario:
Ritorneranno ogni anno, e tu le accoglierai
nella mia chiesa. Addio, Terapione.
E Maria se ne andò per il sentiero che
non porta da nessuna parte, come una donna a cui importi ben poco che le strade
finiscano, dal momento che sa come camminare nel cielo.
Il monaco Terapione scese al villaggio, e il
giorno dopo, quando risalì per celebrare la Messa, la grotta delle Ninfe era
tappezzata di nidi di rondini. Ritornarono ogni anno; andavano e venivano per
la chiesa, tutte intente a nutrire i loro piccoli e a consolidare le loro case
d'argilla, e il monaco Terapione si interrompeva sovente nelle sue preghiere
per seguire, intenerito, i loro amori e i loro giochi, perché ciò che è
proibito alle Ninfe è permesso alle rondini.
Revisione a cura di Claudia Bousquet
foto di CBousquet